Arley Palacios dalla Colombia fino alla Cina passando per New York. La storia del difensore dal cuore buono.

Milano – La Colombia? Pare che sia il Paese più felice al mondo. Forse perché si affaccia sull’Oceano Pacifico e con un battito di ciglia sul Mar dei Caraibi, forse perché il calcio è una religione, e forse anche perché il clima e le diciotto giornate festive annuali fanno tutto il resto. Sicuramente non è tutto idilliaco anche perché il narcotraffico nell’interno del Paese è ben radicato con il traffico di droga verso il Messico e gli Stati Uniti. Il calcio a quelle latitudini può salvare ed essere una svolta di vita. Chigorodó è una piccola città tra la costa e la città di Medellín dove il 10 Luglio del 1973 è nato il forte difensore Arley Palacios. Grazie alla potenza dei social media siamo riusciti ad agganciarlo ed avere una intervista esclusiva. La prima domanda per Arley è ovviamente quella di sapere qualcosa in più della sua terra e dei suoi inizi da giovane defensor. << Sono molto contento che vi siate ricordati di me, vuol dire che qualcosa di buono ho fatto… Da noi in Colombia si inizia a giocare per strada, nella terra. Facevamo le porte con ogni oggetto che avevamo. Giocavamo tutto il giorno dalla mattina alla sera. Poi un giorno un insegnante mi scelse nella squadra della scuola e iniziammo a fare tornei nei comuni vicini. Giocavo insieme a mio fratello Ever più grande di me e più forte. Lui per primo andò a Medellín e poi lo raggiunsi anche io. Superai i test, tutte le prove e mi presero con loro. Era tutto molto bello e professionistico>>. Arley la tua carriera spicca il volo all’ Independiente Medellín e ti porta fino alla ribalta dei famosi MetroStars di New York e poi al Miami Fusion. Raccontaci questo passaggio di vita. << All’ Independiente stavo giocando molto bene e facemmo una tournée negli Usa e durante una amichevole contro la Giamaica dei business men americani mi avvicinarono e mi dissero se avessi voluto giocare negli Usa. Dissi si ed andai nella Big Apple ad indossare la maglia numero 5>>. Una bella squadra quella Arley, con il talentuoso serbo Saša Ćurčić, l’uruguagio Tab Ramos, il tuo connazionale Henry Zambrano. Vi siete divertiti? << Si eravamo una bel team. Giocare a New York aveva un fascino unico. I metodi di allenamento erano diversi rispetto al mio Paese, ma feci una bella stagione con 24 presenze ed un goal>>. Per un ragazzo nato in periferia in Sud America sbarcare nella grande mela sarà stato entusiasmante. Un aneddoto particolare. << Il giorno della presentazione ognuno di noi doveva fare qualcosa tipo cantare o ballare…Io non ero abituato a queste cose ed ero nervoso. Io sono timido e ricordo che quando chiamarono il mio nome non feci nulla di tutto ciò>>. Arley dopo New York, il Miami Fusion, poi ancora in Colombia all’ Atletico Nacional e poi la Cina. Eri un giramondo? << Hahaha forse… Non era un gran periodo con l’Atletico, venimmo eliminati dalla Libertadores ed il mister Suarez si dimise. Arrivò un nuovo allenatore e non puntava su di me e altri ragazzi. Allora parlai con il mio amico Eric Manasse che mi propose di andare allo Xiamen Lanshi, ne parlai con mia moglie e furono quattro anni bellissimi lì nel Paese della seta>>. Una grande carriera la tua e forse l’unico rammarico è quello di non aver vestito la maglia gialla dei Cafeteros come invece è riuscito a tuo fratello Shaka nel Mondiale di Francia. << Si hai colto nel segno. Sono contento di ciò che ho fatto ma quello rimane un sogno non realizzato>>. Oggi Arley cosa fa? << Vivo in Colombia a Medellín e collaboro con una Scuola Calcio che accoglie ragazzi che non hanno molte possibilità. Cerchiamo di farli diventare uomini, calciatori e far credere loro nei sogni e nella maglia dei Cafeteros>>. OLè.

Con la collaborazione giornalistica di Luca Le Piane

foto pagina Fb Palacios

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